Durante una conversazione sul bondage tra Legami di seta e una Mente Desiderosa aspirante bondager è arrivata puntuale la domanda delle domande: cosa si prova a farsi legare?
Essendo Master non posso rispondervi in prima persona, posso dirvi però cosa cerco di trasmettere ad un’allieva bondager e cosa hanno detto di aver provato le mie allieve.
Innanzitutto, una premessa che ritengo essenziale: se il bondage del corpo non viene preceduto da quello che io chiamo “il bondage della mente”, il risultato sarà perlomeno incompleto, insoddisfacente, dimezzato.
Prendiamo come esempio gli happening che utilizzano il bondage come esibizione e attrazione. Una moda ormai, a cui riconosco sicuramente il merito – non è poco! – di aver sdoganato questa disciplina.
La qualità estetica delle figure è indiscutibile, così come lo è l’esecuzione: rapida, perfetta, efficace, realizzata a memoria. Ma per questo – obietto – troppo distaccata.
Cosa prova chi accetta pubblicamente di fare da modella? Poco. Sicuramente molto meno di quello che proverebbe in privato.
Il motivo? E’ il bondage del corpo senza quello della mente.
L’unico elemento di cui ci si può compiacere è, appunto, l’esibizionismo. L’essere legata davanti a persone sconosciute, oppure davanti ad amici e conoscenti, spesso è una prova di coraggio, una sfida, un mettersi alla prova.
Molto più raramente è frutto delle motivazioni che dovrebbe avere un’autentica bondager. Ecco perché accade sovente che chi ha provato l’esperienza pubblica non ha poi modo di riviverla in privato.
A mio personale parere – liberi di dissentire – non è il bondage da esibizione che può trasmettere sensazioni forti – dal corpo al cervello e dal cervello al corpo – e stimolare l’eccitazione fino all’esplosione dell’orgasmo.
Può soddisfare la curiosità. Divertire. Essere un’esperienza stravagante e ludica.
Molto diverso è invece il bondage del corpo quando viene preceduto dal bondage della mente.
Prima di tutto l’allieva deve prendere coscienza di quel corpo, ma anche del suo essere e del suo ruolo. Solo quando avrà fatto questo sarà pronta al bondage del corpo.
La sensazione è simile a quella che prova chi si getta da un ponte facendo jumpy jumping: paura, adrenalina, eccitazione, e infine… grande soddisfazione.
Per cosa? Per aver creduto a sé stessi, ma anche per riposto una “fiducia” sconfinata in quell’elastico. Senza questa premessa è come ritrovarsi a disfare le valigie senza neppure essersi resi conto di aver fatto un viaggio.
La fiducia è la complicità sono alla base del legame che si crea tra l’allieva e il suo Maestro. Quando la bondager comincia a sentire che non può più controllare liberamente il corpo, che i polsi sono stretti nelle corde, che le caviglie sono come incollate insieme, o comunque non più libere di muoversi… sente crescere in sé, da una parte un forte senso di appartenenza nei confronti di chi la sta legando e che in quel momento manifesta il dominio assoluto; dall’altra, sente un senso di abbandono, di rilassamento, di fiducia che non può non avere nei confronti del suo Maestro.
Anche qui mi viene in mente un paragone calzante: lo Yoga e la meditazione. Pure in questa disciplina, se non si ha fiducia nella propria Guida, si rischia di non iniziare mai il viaggio alla ricerca di sé.
Quando ormai la mente è legata cominciano ad arrivare al cervello, a pioggia, gli stimoli e le sensazioni inviate dal corpo, che ora sì “è in bondage”. Si stratificano le corde, aumentano la pressione e lo sfregamento, accelera il respiro, cresce incontrollabile la sensibilità delle zone erogene.
Il primo stadio è, malgrado gli sforzi fatti per liberarsi (il Master lo chiederà esplicitamente), un forte senso di impotenza. Poi di rassegnazione e di abbandono. Quindi inizia a decollare l’estasi, fino al punto in cui l’allieva sente che il corpo non le appartiene più, ma è fatto dono all’altro.
Anche la seconda fase è compiuta.
La terza fase è un’opzione. Non sta scritto da nessuna parte, infatti, che Master e allieva debbano avere un rapporto intimo, o che quel corpo così “a disposizione” debba essere “usato”.
Parliamo anche di quella stimolazione, ora dolce ora perversa, ma pur sempre ammaliante, attraverso cui l’allieva, ora bondager, si trasforma in schiava.
Quando non vuole più provare solo attrazione sessuale, ma vera dipendenza sessuale. Quando il desidero di ricevere e dare piacere non è più controllabile, se non dal Maestro.
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